Come affrontare rabbia e capricci – A cura di Claudia Benazzi – Psicologa – 

“Chiunque può arrabbiarsi: quello è facile. Ma arrabbiarsi, con la persona giusta, e nel grado giusto, e al momento giusto, e per lo scopo giusto, e nel modo giusto: questo non è nelle possibilità di chiunque e non è facile.”
Aristotele

“La rabbia è un’emozione che non passa inosservata, cattura occhi e orecchie. Fa parte della sua natura farsi notare e produrre una reazione notevole sia in chi la prova sia nel “destinatario”. Una reazione di solito negativa. La rabbia è un’emozione scomoda, difficile da gestire, in molti casi spiacevole. Tendenzialmente si tenta di evitarla, di “scansarla”, talvolta di zittirla… la propria, come quella altrui.” (Broccoli, F., 2016). 

Trattandosi di un’emozione ben nota a tutti, fa sorgere diversi interrogativi riguardo alla modalità di comportamento più corretta che si dovrebbe adottare, al modo in cui affrontarla o all’eventualità di aggirarla e, soprattutto, diversi sono i dubbi relativi alla natura della rabbia dei bambini, espressa perlopiù attraverso i consueti capricci, dietro la quale si nasconde una molteplicità di emozioni, che vanno comprese e accolte.
Nonostante la maggior parte dei genitori sia pienamente consapevole del fatto che la rabbia dei propri figli sia un’emozione da accogliere, assolutamente normale per l’età, nella modalità con cui viene espressa, tuttavia, di fronte alle esplosioni dei propri figli, si sente spesso disorientata, a causa della stanchezza e della frustrazione che, a lungo andare, i capricci portano con se’, e si arrabbia a sua volta, causando un circolo vizioso da cui non è sempre facile uscire.

I bambini imparano presto che facendo i capricci, lamentandosi o piagnucolando spesso ottengono quello che vogliono, per cui tendono a ripetere queste modalità a volte anche inconsapevolmente finché non raggiungono l’obiettivo. Fare i capricci, lamentarsi e piagnucolare sono comportamenti che vengono rinforzati dal raggiungimento dell’obiettivo (ottenere ciò che si vuole) anche a discapito delle conseguenze negative. Spesso infatti i genitori cedono quando non hanno più la forza di resistere alle proteste e, essendo esasperati, concedono al bambino ciò che vuole associandolo a reazioni di insofferenza e di frustrazione, parole negative e sentimenti di rabbia. Ciò, spesso, determina sensi di colpa nel bambino e nei genitori perché la situazione è sfuggita a tutti: il bambino si sente un cattivo bambino perché ha fatto soffrire i genitori; i genitori si sentono cattivi genitori perché non riescono a gestire il bambino e a controllarsi nelle reazioni negative. Ciononostante, il comportamento negativo del bambino tende a ripetersi perché è stato funzionale al raggiungimento dell’obiettivo: il capriccio viene rinforzato dall’ottenere ciò che desiderava. Come si può capire, questo determina un circolo vizioso in cui tutti provano malessere, ma né i genitori né tanto meno il bambino riescono ad evitare che tali situazioni si ripetano. (Tomassetti, S.)

Molto spesso i genitori sono sopraffatti dalla frustrazione e dai livelli di stress, e non si accorgono del circolo vizioso in cui sono bloccati, concentrandosi sulla rabbia e sul senso di impotenza generati dal non riuscire a trovare una soluzione che interrompa, in qualche modo, dei comportamenti divenuti ormai automatici. Molto spesso il genitore si convince che il bambino, se solo si impegnasse e lo volesse davvero, smetterebbe di fare i capricci, e se invece persiste con quell’atteggiamento è solo perché vuole in qualche modo punire il genitore e farlo sentire in colpa per il mancato soddisfacimento del suo bisogno. Questa convinzione in realtà porta a sviluppare sentimenti di rabbia e di esasperazione dei gesti, aspettandosi che sia il figlio a doversi calmare ed a ripristinare la situazione di equilibrio.
E’ tuttavia possibile, cercando di prestare attenzione e di focalizzare l’attenzione in modo corretto, osservare che molti dei comportamenti, per così dire, oppositivi, del bambino, si manifestano in realtà come risposta di fronte a situazioni che generano in lui emozioni di paura o di tristezza, e non rappresentano quindi in alcun modo un capriccio o una forma di mancanza di rispetto nei confronti del genitore, ma sono manifestazioni di disagio. Prendere consapevolezza di questo meccanismo dovrebbe permettere al genitore di entrare maggiormente in contatto con le emozioni del proprio figlio, in maniera empatica, comprendendo le sue reazioni, e fornendo una risposta più razionale e meno impulsiva. E’ possibile quindi, partendo da questa consapevolezza, adottare una serie di accorgimenti in modo da evitare richieste eccessive in momenti in cui il bambino potrebbe risultare particolarmente vulnerabile, o fornendogli determinati aiuti nel caso in cui non sia possibile evitare la richiesta.

“Ma c’è una grande differenza fra voler fare la cosa giusta per i propri figli e avere davvero le risorse per farlo. E questo perché per essere buoni genitori l’intelligenza, da sola, non basta. Si tratta di toccare una dimensione della personalità che la maggior parte dei consigli dispensati a padri e madri negli ultimi trent’anni ignora. L’essere buoni genitori implica l’emozione. Nell’ultimo decennio la scienza ha compiuto scoperte sensazionali sul ruolo che le emozioni svolgono nella nostra vita. I ricercatori hanno constatato che, più del QI, sono la consapevolezza emotiva e la capacità di padroneggiare i sentimenti a determinare il successo e la felicità in tutti i campi dell’esistenza, inclusi i rapporti familiari.” (Gottman, J., & Declaire, J., 2015).

I genitori devono quindi imparare a farsi guidare dall’intelligenza emotiva, empatizzando con le emozioni dei propri figli, in modo da rappresentare un modello da seguire, insegnando loro a riconoscere le proprie emozioni, a controllare gli impulsi, ad accettare le frustrazioni che inevitabilmente la vita ci pone davanti.

“La vita familiare è la prima scuola nella quale apprendiamo insegnamenti riguardanti la vita emotiva. E’ nell’intimità familiare che impariamo come dobbiamo sentirci riguardo a noi stessi e quali saranno le reazioni degli altri ai nostri sentimenti; che cosa pensare su tali sentimenti e quali alternative abbiamo per reagire; come leggere ed esprimere speranze e paure. L’educazione emozionale opera non solo attraverso le parole e le azioni dei genitori indirizzate direttamente al bambino, ma anche attraverso i modelli che essi gli offrono mostrandogli come agiscono i propri sentimenti e la propria relazione coniugale”

La rabbia in realtà fa parte da sempre della specie umana, e compare nel bambino entro il primo anno di vita: rappresenta un’emozione fondamentale per la sopravvivenza, ed ha una valenza molto importante per l’evoluzione ed il percorso di crescita di ogni bambino. E’ fondamentale che i bambini imparino a gestire e regolare le proprie emozioni, supportati dagli adulti, ma è altrettanto decisivo che i genitori imparino a rispondere in modo funzionale alle manifestazioni di rabbia dei bambini.

Bibliografia
• Barkley, R. A., & Benton, C. M. (2016). Mio figlio è impossibile. Trento, Erickson.
• Beltrame, A., & Mazzarelli, L. (2019). Invece di dire… Prova a dire… Edizioni Mondadori.
• Broccoli, F. (2016). Lascia che si arrabbi. Sperling & Kupfer
• Conti, D. (2015). Il linguaggio emotivo dei bambini. Sperling & Kupfer.
• Goleman, D. (2011). Intelligenza emotiva. Bur.
• Gottman, J., & Declaire, J. (2015). Intelligenza emotiva per un figlio. Bur.
• Nolte, D. L., & Harris, R. (2016). I bambini imparano quello che vivono. Bur.
• Tomassetti, S. Analisi funzionale dei comportamenti problematici