La psicoterapia cognitivo-comportamentale agisce sui pensieri più immediati e automatici che precedono e accompagnano le nostre sofferenze emotive.
Secondo la teoria della terapia cognitivo-comportamentale, il malessere psicologico dipende spesso da ciò che noi pensiamo.
Si tratta di idee che passano per un attimo nella nostra mente chiamate “pensieri automatici” e che poi ci rimangono dentro. Secondo questa teoria questi pensieri li diamo per scontati, non li mettiamo in discussione, diamo per garantito che siano veri. Insomma, ci crediamo.
E così, se siamo ansiosi e impauriti, pensiamo e quindi crediamo che ci sta per accadere qualche sciagura, o che siamo persone fragili. Se siamo tristi e depressi, pensiamo e quindi automaticamente crediamo che la nostra vita sia andata in malora, che non ci sia più niente da fare per trovare un lavoro o degli amici o salvare una relazione.
La terapia cognitivo-comportamentale sostiene che non siamo condannati a credere ai nostri pensieri. A questi pensieri automatici, anche se non sono inconsci, siamo così abituati che ne siamo diventati inconsapevoli. E in questo modo abbiamo dimenticato che sono solo pensieri.
Li consideriamo fatti, oggetti, cose che non possono essere modificate e che sono di per sé vere, solo perché da sole ci vengono in mente e perché così siamo abituati. E infatti sono abitudini, abitudini mentali che sono diventate il nostro carattere. Ma non è così. Possiamo ripensare a questi pensieri e cambiarli. E dopo averli cambiati cambieranno le nostre emozioni, anche quelle più dolorose: l’ansia e la depressione.
La terapia cognitivo-comportamentale è stata descritta per la prima volta Albert Ellis (1962) e Aaron T. Beck (1964). Essa si articola in protocolli di terapia, ovvero procedure dettagliate e formalizzate di psicoterapia per disturbi specifici.

A cura di
Ilaria Amalfitani
Psicologa, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale