A cura di Claudia Benazzi – Psicologa
“Originariamente le parole erano magie e, ancor oggi, la parola ha conservato molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice l’altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere agli allievi, con le parole l’oratore trascina con sé l’uditorio e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo comune con il quale gli uomini si influenzano tra loro. Non sottovaluteremo, quindi, l’uso delle parole nella psicoterapia.” (Sigmund Freud, Introduzione alla psicoanalisi, 1915/32)
Sempre Freud sostiene che «Nel trattamento analitico non si procede a nient’altro che a uno scambio di parole tra l’analizzato e il medico. Il paziente parla, racconta di esperienze passate e di impressioni presenti, si lamenta, ammette i propri desideri e impulsi emotivi. Il medico ascolta, cerca di dare un indirizzo ai processi di pensiero del paziente, lo esorta sospinge la sua attenzione verso determinate direzioni, gli fornisce alcuni chiarimenti e osserva le reazioni di comprensione o di rifiuto che in tal modo suscita nel malato».
Sigmund Freud fu il primo a scoprire il vero potere della parola come strumento di cura delle patologie psichiche, fino ad allora curate solo attraverso l’intervento farmacologico, dando vita alla psicoanalisi.
Fin dal principio Freud portò l’attenzione sulla parola come strumento peculiare della psicoterapia, che si basa sul colloquio, l’ascolto e la comprensione empatica, attraverso la quale lo psicoterapeuta accoglie e si prende cura del disagio del paziente, eliminando ogni tipo di censura o di giudizio, e permettendo al paziente di abbandonare ogni tipo di filtro comunicativo, che invece verrebbe automaticamente utilizzato se ci si trovasse a parlare con amici, parenti o conoscenti, il cui essere in confidenza impedirebbe una comunicazione ed un ascolto che parta da posizioni oggettive.
“A differenza dello sguardo medico, che dalla malattia conduce alla guarigione, la cura dell’anima avviene lungo quel percorso che dall’ignoranza conduce alla conoscenza di se’. Perché conoscendo se stessi è possibile individuare i propri obbiettivi di vita, commisurare i propri desideri con le proprie capacità, conoscere i propri limiti che ci consentono di accettare o tollerare senza doverci deprimere quello che non possiamo cambiare” (Ferrari, 2019)
Il terapeuta, attraverso l’uso della parola, si prende cura del paziente e, attraverso il dialogo, lo aiuta a prendersi cura di se’. Spesso la sofferenza nasce da un’erronea attribuzione che impedisce di interpretare il mondo con i giusti strumenti. Eschilo diceva che “il dolore è un errore della mente”, ed il dialogo terapeutico è in grado di correggere tale errore attraverso l’utilizzo delle parole che “aiutano a vedere il sentire, ma anche con il silenzio che apre le porte all’ascolto e consente di entrare nelle pieghe dell’anima di chi viene in cura senza farsi sopraffare dall’urgenza delle parole che spesso, invece di far conoscere, nascondono ciò che nell’anima è secretato.” (Ferrari, 2019).
Spesso, quando si parla di psicoterapia e di linguaggio utilizzato allo scopo di curare, ci si imbatte in pregiudizi e stereotipi. Il linguaggio è, come ben sappiamo, una caratteristica tipica della specie umana, e solo l’uomo è quindi in grado di utilizzare la parola per comunicare. Quando cerchiamo di interpretare il mondo attraverso il linguaggio e l’esperienza, spesso ci scontriamo con un divario fra ciò che troviamo giusto, corretto e sensato, e ciò che invece il mondo ci presenta: questo genera confusione che può sfociare in psicopatologia, perché ci si scontra con un mondo che non si riconosce e non si accetta. Attraverso la psicoterapia ci si libera da stereotipi e pregiudizi, e si comprende l’esperienza che ha generato sofferenza liberandosi da un’interpretazione errata, disinnescando quei meccanismi automatici che portano a tradurre i vissuti in maniera disfunzionale.
La parola è dunque lo strumento principale utilizzato in psicologia ed in psicoterapia (unitamente all’ascolto, all’utilizzo di test diagnostici o questionari di personalità), ed attraverso di essa si esprimono emozioni, vissuti, esperienza passate, disagi, paure riferite al futuro, aspettative e desideri, che verranno accolti senza essere giudicati; attraverso il racconto delle proprie esperienza, la parola permette di elaborare o rielaborare i propri vissuti, iniziando cosi il percorso di cura, affiancati e supportati dall’aiuto di uno specialista che ci aiuti ad incanalare nel giusto verso le nostre emozioni. Tuttavia, nonostante sia spesso un pensiero comune, il terapeuta non ha il compito di trovare soluzioni, ne’ tantomeno di dispensare consigli, perché egli non partecipa emotivamente al dolore del paziente, ma si limita a constare il funzionamento di alcuni meccanismi automatici di autodifesa del paziente, come sostenuto dallo stesso Freud:
“Siete male informati se supponete che l’influsso dell’analisi sia espressamente diretto a consigliare e a guidare nelle faccende della vita. Al contrario, noi respingiamo per quanto ci è possibile la parte di mentori, poiché ciò che più ci interessa è che l’ammalato prenda da sé le sue decisioni” (S. Freud).
Il compito del terapeuta non è quindi la risoluzione dei conflitti interiori del paziente, bensì il supporto per far sì che il paziente sviluppi autonomamente, seppur guidato, la capacità di affrontarli, gestirli ed accettarli, attraverso un cambiamento interiore che possa mantenersi nel tempo, conquistato attraverso l’analisi e la conoscenza di se stessi.
“Nel far procedere l’inconscio fino alla coscienza, noi aboliamo le rimozioni, eliminiamo le condizioni per la formazione dei sintomi, trasformiamo il conflitto patogeno in un conflitto normale che deve trovare in qualche modo una risoluzione. Ciò che provochiamo nel malato non è altro che questo unico mutamento psichico […] Ma forse siete vi siete immaginati il processo di guarigione di un nervoso come qualcosa di diverso: che, dopo essersi sottoposto al faticoso lavoro di una psicoanalisi, egli diventi un altro uomo e poi tutto il risultato sarebbe che egli ha in sé un po’ meno di inconscio e un po’ più di conscio rispetto a prima. Il fatto è che probabilmente voi sottovalutate l’importanza di un simile mutamento interiore. Il nervoso guarito è diventato davvero un altro uomo, ma in fondo, naturalmente, è rimasto lo stesso; ossia, è diventato quale avrebbe potuto diventare, a dir molto, nelle condizioni più favorevoli” (S. Freud).
“Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!” (Luigi Pirandello)
Bibliografia
APA (American Psychiatric Association) (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 5.
Cacciari, C. (2011). Psicologia del linguaggio (pp. 1-372). Il mulino.
Cionini, L. (2015). Il linguaggio delle parole, il linguaggio del corpo e il linguaggio delle immagini nel processo di cambiamento.
Ferrari, E. (2019). Parole che fanno esistere: Storie di psicoterapia e oltre. Mimesis.
Freud, Introduzione alla psicoanalisi, Bollati Boringhieri, 2004
Jones, L’azione terapeutica, Cortina, 2008
Pirandello, L. (1997). Sei personaggi in cerca d’a
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